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Aspettare: fare spazio alla novità

Il Cenacolo in cammino: ecco l’immagine che mi viene in mente mentre scrivo queste parole. Dunque, come possiamo vivere le ultime settimane dell’anno liturgico e l’avvento porta della solennità di Natale in questi tempi incerti? La delusione diffusa e il senso di smarrimento non hanno la pandemia di Covid-19 come l’unica causa. Si fa fatica a camminare sereni nelle acque impetuose dei nostri tempi anche perché la tecnologia e gli sviluppi nel sapere e nell’inventare non hanno trovato una parità nel privilegiare l’umanità e nel costruire un mondo migliore per tutti.  Cresce sì la ricerca sull’ogni campo ma non sembra di crescere la consapevolezza che l’uomo, ogni uomo è la ragione di tutta la ricerca.
Il tempo dato a noi, allora, deve aiutarci a sviluppare la capacità di cogliere il senso profondo delle cose. Il salmista ci propone la strada giusto. L’uomo riflette su sé stesso, forse in una notte luminosa guardando la luna e un cielo stellato, e stupito pensa: se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa mai è l’uomo perché tu ti ricordi di lui, perché ti prendi cura del figlio dell’uomo (cf. Sal 8). È uno sguardo contemplativo quello che riesce a cogliere i dettagli nella realtà, e con stupore, leggere in essa la mano di Dio. In questo contesto il primo verbo che vorrei riflettere con voi è aspettare. Attendere, ovvero, fermarsi in anticipazione di qualcosa o qualcuno è l’infinito del verbo sperare.
L’arte di fare spazio alla novità
La vigilanza richiesta da chi attende è un atteggiamento globale di attenzione alla presenza del Signore, di tensione interiore per discernere e far spazio in sé alla sua venuta. È un gesto semplice ma ha la potenza di porci in uno stato di lucidità spirituale che ci rende vigili-veglianti. L’impegno a vegliare, teso a sgomberare il cuore dalle distrazioni che ostacolano la vita spirituale, contribuisce alla maturità spirituale.
Il primo a vigilare è Dio stesso. Dice infatti il Salmista: non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele (cf. Sal 120,4).  L’attesa ha a che fare con il futuro: “il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa”, dice S. Agostino (Confessiones, Libro XI, 20). Ecco, dunque, Dio attende l’uomo nell’eternità, pronto ad accoglierlo.
Il sapere che Dio ci attende da senso ad ogni nostra esistenza. E come dice Dietrich Bonhoeffer: “L’amore sa aspettare, aspettare a lungo, aspettare fino all’estremo. Non diventa mai impaziente, non mette fretta a nessuno e non impone nulla. Conta sui tempi lunghi.” Tutta la bibbia testimonia che la pazienza di Dio è la salvezza dell’uomo. L’amore è paziente (cf. 1 Corinzi 13:4). Il suo amore infinito sa aspettare il ritorno del proprio figlio (cf. Lc 15).
Allora l’invito rivolto a noi è di vivere l’attesa. Vivere l’attesa nei nostri giorni è un’impresa enorme, ma proprio perché controcorrente diventa testimonianza. Esercitare l’attesa è plasmarsi sfidando lo spirito frenetico di questi tempi e per il cammino spirituale quell’attimo diventa l’ora della nostra salvezza. La mia Salvezza mi raggiunge quando mi fermo, il Regno mi si trova e scopro che c'è una sconosciuta e divina potenza che è all'opera. 
Buon cammino fratelli.  

Don Nicholas Kirimo

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