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“La Samaritana” (Gv 4,5-26)

Primo venerdì del mese 7 febbraio 2020
Tema: “La Samaritana” (Gv 4,5-26)
Relatore: Fr. Luciano Manicardi – Priore del Monastero di Bose

Il nostro testo ha molto da insegnarci sull’arte dell’incontro. Ogni incontro è un rischio: dove ci porterà? Un incontro richiede coraggio, soprattutto quando si devono superare barriere di genere, barriere etniche, barriere religiose e morali. Qui Gesù incontra, lui maschio, una donna, lui giudeo, una samaritana, e i samaritani, che erano considerati scismatici dal punto di vista religioso, non avevano rapporti con i giudei. La donna si trova al pozzo dove passavano beduini con le loro carovane e il pozzo era luogo di incontri e anche di prostituzione. Gesù stesso parla dei molti amanti che lei ha avuto. Come inizia l’incontro? Osando il proprio bisogno, riconoscendo la propria povertà e chiedendo aiuto a chi abbiamo davanti. Gesù è stanco, ha sete e chiede da bere. La mancanza, che a volte per noi è motivo di lamento, di pretesa, per Gesù diviene occasione di apertura a un altro. Che uso facciamo dei nostri bisogni, delle nostre mancanze? Gesù inizia a rivolgere la parola a questa donna chiedendole di venire incontro al suo bisogno. Spesso il rivolgere la parola può dare la vita a noi stessi e agli altri. Al capezzale di Georges che aveva tentato il suicidio, l’abbé Pierre gli chiese: “Georges, tu sei libero poiché vuoi morire, ma prima di ritentare di suicidarti non vorresti venire a darmi una mano per costruire case illegali per i senzatetto?” E da quella domanda reiniziò la vita di Georges.
Il testo ci mostra che la sete vera dei due, e dunque di Gesù stesso, è la sete di incontro, di relazione, tanto che la donna lascerà lì la sua brocca e se ne andrà senza attingere l’acqua dal pozzo e Gesù non berrà l’acqua dal pozzo. Il nostro vuoto può essere elaborato come desiderio, come spazio da aprire all’altro per fare un po’ di strada insieme. Camminando insieme e dialogando si può scoprire che la sete vera e profonda è la sete di incontro e di amore e che si può dissetare l’altro con una presenza amica, una presenza che non giudica, che accoglie. Gesù, l’assetato, si disseta dando da bere la sua presenza, la sua parola, alla donna. Il testo di Giovanni presenta una via di uscita dall’inimicizia per entrare nell’amicizia e nello scambio gratuito. Sì, noi non sappiamo dove l’incontro ci potrà portare e per paura possiamo erigere una barriera, starcene nel chiuso delle nostre sicurezze, e per paura ci asteniamo dal rischio dell’amore. Gesù non ha paura di osare l’amore intelligente. Non ha quella paura che spesso è la nostra e che ci porta ad agire nel modo descritto magistralmente da un grande scrittore del secolo scorso: “Amare è sempre essere vulnerabili. Ama qualche cosa e il tuo cuore certamente si ritroverà diviso, rotto, sofferente. Se vuoi essere sicuro di mantenere intatto il tuo cuore, non darlo a nessuno, neanche a un animale. Avvolgilo attentamente in piccoli lussi, in abitudini quotidiane, in dettagli insignificanti, evita ogni coinvolgimento amoroso, chiudilo al sicuro nell’urna o nella bara del tuo egoismo, ma nell’urna sicura, oscura, immobile, senza aria, il tuo cuore cambierà, non si romperà, stanne certo, diventerà infrangibile, impenetrabile, irrimediabile. L’unico luogo, a parte il cielo, dove può essere perfettamente salvo da tutti i pericoli e perturbazioni dell’amore è l’inferno”. 
Vuoi proteggere il tuo cuore, vuoi evitare di soffrire? Evita di amare, evita ogni relazione che ti coinvolga, ma sappi che così ti condanni all’inferno: il luogo dove il cuore è protetto da tutti i pericoli dell’amore è l’inferno. Certo, amare ha il prezzo della sofferenza e questa donna la immaginiamo segnata da una storia sofferta, dolorosa, la storia di una che ha molto amato e che ha molto sbagliato e sofferto. Se il testo ci parla della stanchezza di Gesù, non fatichiamo a vedere la stanchezza anche di questa donna. Forse intuendo quella stanchezza, Gesù osa andare oltre le barriere della inimicizia categoriale, le barriere per cui l’altro non è un volto e un nome, ma solo un’appartenenza etnica: lui un giudeo e lei una samaritana (v. 9) e pian piano la conduce a parlare della sua appartenenza religiosa (noi samaritani adoriamo, cioè facciamo il culto sul monte Garizim, mentre voi giudei adorate a Gerusalemme), della sua tribolata identità personale e famigliare (hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito). Gesù accoglie la sua diversità e non ne fa motivo di giudizio o di condanna. Gesù fa scoprire a questa donna di essere conosciuta anche nel proprio peccato, e non condannata né giudicata. Gesù le suggerisce un passo nel cammino di conoscenza reciproca: passa dalla domanda che le ho rivolto, alla domanda che cosa lui è per lei. “Se tu sapessi chi è colui che ti ha detto: dammi da bere, tu stessa chiederesti da bere a lui”. Dunque: all’inizio del cammino vi è il riconoscimento da parte di Gesù del suo bisogno e poi viene, da parte della donna, il riconoscimento della sua miseria, dei suoi errori, del suo peccato. “Dammi da bere”, aveva detto Gesù; “Dammi quest’acqua”, dice la donna a Gesù. La conoscenza della nostra miseria è la grande ricchezza che ci consente di incontrare gli altri diventando per loro fonte che disseta, che consola e che cura. Mentre Gesù porta la donna a prendere in mano la propria storia sapendosi perdonata, la guida a confessare nella fede Gesù come il Messia: prima lei dice “tu sei un profeta” (v. 19), poi confessa di sapere che deve venire il Messia (v. 25), infine ai suoi concittadini di Samaria annuncia che forse Gesù stesso è proprio lui, il Messia (v. 29). Così la donna scismatica e peccatrice, diviene non solo una credente, ma anche una apostola, l’annunciatrice di chi è Gesù: il Salvatore del mondo. La donna che ha incontrato personalmente Gesù, ora suscita la fede dei suoi concittadini conducendoli a un incontro diretto con Gesù, tanto che essi dicono: “Non è più per i tuoi discorsi che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo” (v. 42). La rivelazione di Gesù quale Messia è avvenuta attraverso un incontro umano, e questo incontro personale della donna è divenuto evangelizzazione. Ecco la potenza dell’incontro con Gesù.

A cura di M.M.

 

 

 

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